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lunedì, aprile 13, 2009

lunedì, aprile 13, 2009
Dal corrispondente a Parigi di El Mundo, Rubén Amón; in spagnolo è qui.


Requiem per l'Abruzzo

Spero non si inquieti la mia amica Irene Hernández Velasco per l'invasione geografica di questo post. Il territorio di questo servitore è circoscritto alle pareti dell'Esagono francese, ma ho deciso superarlo per ragioni personali, sentimentali. Ho vissuto una parte della mia vita in Abruzzo, ho un figlio nato all'ombra del Velino e mi hanno impressionato le immagini del terremoto, tanto quanto i racconti emozionati degli amici con cui ho parlato in questi giorni al telefono.
Alcuni si sono messi a piangere e prima sembravano fortezze. Altri si sono rifugiati nelle parole laconiche e nel lutto senza espressione. Finché hanno potuto. La conta dei cadaveri e la loquacità di Berlusconi li hanno trasformati in blasfemi ed empi. Che non gli arriva il verbo comune per liberarsi dell'arbitrarietà tellurica.
Sono gli abruzzesi gente severa, taciturna e oscura. Eredi del dominio pontificio, fratelli di Ovidio e di Gabriele D'Annunzio, elettori irredenti della Democrazia Cristiana, soggetti sprovvisti della barocca teatralità di molti compatrioti. Perché l'Abruzzo rivendica implicitamente il valore delle cose genuine. Come il pecorino, i vigneti di Pescara, le aquile reali del Monte Velino, i lupi del Parco Nazionale e lo zafferano de L'Aquila.
L'Abruzzo è un ridotto della natura, la scusa di un viaggio nel tempo fino alle radici della terra. Con il crocifisso in man e con una biodramina (medicina per chi soffre l'auto e le curve NdRSO). Perché non mancano le curve e i salti. Neppure scarseggiano adesso le buche, le crepe né le tombe. Specialmente a L'Aquila, le cui ali aperte sventagliano e la rendono la città più fredda d'Italia. Fu concepita nel XIII secolo per iniziativa pontificia, con un piano urbanistico disconnesso con la maledizione di lunedì: c'erano 99 chiese, e c'erano 99 fontane, e 99 palazzi, e 99 piazze.
Numeri e cabala a parte, si potrebbero ben investire le cifre per giocare il diavolo, la defunta fortezza meritava una visita perché nelle sue mura si erigeva la chiesa intimidatrice di Santa María di Collemaggio, dove fu proclamato papa l'effimero e turbato Celestino V.
Il nome e l'uomo passato alla storia perché presentò le dimissioni in favore di una vita da eremita. Per capirlo basta percorrere in auto i paesaggi silvestri che circondano L'Aquila e i paesini fortificati eretti nell'Italia profonda. O quello che resta di loro, che Dio li ha abbandonati perché sbadigliava.
Si apre la regione ad appena 60 km da Roma, anche se la prossimità geografica, un tiro di pietra, non sembra aver mai turbato i turisti che arrivano nella capitale, più favorevoli ad un viaggio al nord o al sud che a conoscere l'asse degli Appennini centrali. E' vero che la Toscana, intorno a Firenze, e la Campania, intorno a Napoli, rappresentano una concorrenza inaccessibile, se di materiale monumentale e scenografico si tratta, ma l'Abruzzo ha a suo favore il piacere della verginità, anche il piacere di entrare in un territorio remoto, deglobalizzato.
E' l'Italia sconosciuta e profonda. Come il Molise, la Basilicata, la Puglia o la Calabria, tutte regioni maltrattate dalle guide e sconosciute a una buona parte della popolazione tricolore. Forse perché l'industria dei viaggi si è dimenticata di loro o perché le popolazioni locali non sembrano troppo favorevoli all'estroversione né al marketing dei ciarlatani. Sono stati necessari un terremoto e 300 morti perché l'Abruzzo apparisse nel prime time della CNN.
La catena americana delle bollicine viene a "scoprirci", adesso sappiamo che le fondamenta archeologiche conducono verso i primi contrafforti degli Appennini Centrali, serpenteggiano tra le belle strade lastricate di Tagliacozzo, epicentro degli appassionati equestri con il vanto di uno stupendo ippodromo, e vanno verso i resti di una città romana che sembra essersi installata lontano dal tempo. Come se si fossero dimenticati di lei.
Si chiama Alba Fucens e fu scoperta da una missione di archeologi belgi nel 1949. Mezzo secolo dopo rimangono allo scoperto il foro, le pareti impeccabili dell'anfiteatro e lo scheletro di un tempio dedicato ad Apollo che i cristiani dedicarono alla gloria di San Pietro.
Dalla cima del tempio si avverte la bellezza del Fucino, soprannome di un lago che l'imperatore Claudio cercò di bonificare, le opere si vedono nelle vicinanze di Avezzano, e che poi sparì grazie alle arti della famiglia Torlonia, nel 1876. Adesso il territorio del Fucino rappresenta una superficie straordinariamente fertile e ricca dove abbondano le patate, le carote e le famiglie degli agricoltori, che hanno fatto fortuna per riprendersi dal terremoto del 1915. Quasi un secolo più tardi la terra è tornata a tremare, alla ricerca di sopravvissuti e di innocenti.
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